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Libro d'artista


Questa definizione, attualmente al centro di un dibattito critico assai agguerrito, individua un oggetto che pur mantenendo le caratteristiche del libro, si connota come una vera e propria opera d’arte. Secondo l’interpretazione che ne dà Anne Mœglin-Delcroix (cfr. Esthétique du livre d’artiste 1960-1980, Parigi, édition Jean Michel Place – Bibliothèque nationale de France, 1997; Dal 1962 in poi. Un’altra idea dell’arte, in Guardare, raccontare, pensare conservare. Quattro percorsi del libro d’artista dagli anni ’60 ad oggi, a cura di Anne Mœglin-Delcroix, Liliana Dematteis, Giogio Maffei, Annalisa Rimmaudo, Edizioni Corraini, 2004, pp. 10-25), in primo luogo il libro d’artista è prodotto e pensato da un solo autore, che deliberatamente sceglie la forma del libro come uno dei supporti possibili del proprio lavoro, per produrre un’opera che sfugge ai canali di circolazione consueti del prodotto artistico, svincolandosi al contempo sia dalla riproduzione seriale del mercato librario, che dalle edizioni di lusso del libro illustrato. La genesi e lo sviluppo del livre d’artiste sono individuati nell’ambito dell’Informale (marginalmente), della Pop Art, dell’Arte concettuale e dell’Arte povera, di Fluxus e (talvolta) della poesia verbovisiva. A differenza del livre dei peintre, essi hanno una tiratura abbastanza ampia, realizzata nella maggior parte dei casi dallo stesso autore, con materiali poveri, inoltre non presentano il colophon, poiché esso conferisce valore monetario al prodotto in virtù della sua rarità. In ambito anglosassone la dicitura invalsa è Artist book, che coincide sostanzialmente con quella di livre d’artiste e di libro d’artista. Occorre sottolineare come in Italia, tale dicitura sia stata avanzata per la prima volta da Germano Celant nell’articolo, Il libro come lavoro d’arte, pubblicato su «Data» nel 1971, e successivamente impiegata con accezione più o meno larga in una serie di mostre degli anni Settanta. Annalisa Rimmaudo, nel saggio Evoluzione del libro d’artista pubblicato in Giorgio Maffei, Il libro d’artista, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2003, descrive così la differenza tra libro illustrato e libro d’artista: «Mentre il libro illustrato è il luogo di incontro di un artista e di un autore, scrittore, poeta, dove i linguaggi plastico e verbale svolgono le loro funzioni parallelamente secondo canoni classici, nel libro d’artista un unico creatore realizza l’interferenza tra vari elementi costitutivi del libro, in un rapporto di necessità». Se la maggior parte degli oggetti ascrivibili a questa tipologia esula dal presente repertorio, perché pertinenti all’ambito artistico propriamente detto, tuttavia si è deciso di assumere il termine nella sua accezione più ampia, sino a comprende opere – come ad esempio Altrove di Lamberto Pignotti, pubblicato dalle Edizioni Canopo, oppure Cinque per Venticinque di Emilio Isgrò, edito dai Cento Amici del Libro – che, per il loro carattere intermediale, non possono in alcun modo essere definiti come libri illustrati. Una specifica categoria – denominata “Poesia visiva - Libri” – è costituita inoltre da pubblicazioni che pur essendo prive di colophon, tuttavia rappresentano un aspetto importante del libro d’artista negli anni Sessanta e Settanta, in connessione con lo sviluppo di un’editoria alternativa. Fatta salva questa eccezione, nel repertorio sono incluse unicamente le opere provviste di colophon ed in cui sono esplicitamente indicati gli estremi bibliografici (editore, luogo e anno di pubblicazione), che ne garantiscono la circolazione, seppur in tirature assai limitate, all’interno del mercato editoriale.